14.9.1968. I protagonisti occupano la cattedrale
14 settembre 1968 – Un gruppo di 20/25 giovani occupa la cattedrale di Parma. Alle ore 16,30, appendono fra le colonne del protiro un piccolo dazebao che annuncia la manifestazione. Entrano, seggono in cerchio in fondo alla navata centrale e iniziano a parlare a bassa voce dei motivi della dimostrazione.
Qualcuno li osserva, qualcuno protesta per le spalle volte all’altare. Alle 19 la cattedrale chiude, ma i ragazzi non vogliono uscire. Dieci minuti dopo arriva la polizia e trascina sul sagrato uno ad uno i manifestanti, che restano fino alle 20 a parlare.
L’occupazione è durata meno di tre ore, ma sarà oggetto di discussione per mesi, anni, rimanendo nella memoria collettiva come evento iconico del ’68 a Parma.
Gli occupanti sono tutti della parrocchia di Santa Maria della Pace di piazzale Pablo, assieme a qualche solidale venuto da Langhirano. In questa chiesa si è infatti formato il gruppo de I protagonisti, fondato dal parroco don Pino Setti, aderente a Gioventù studentesca. Da cinque anni si ritrova approfondendo un’idea di cristianesimo critico, di fede impegnata, sospinto dalle attese di cambiamento del Concilio Vaticano II. Sono ragazzi che leggono il Vangelo assieme ai testi di De Andrè, Pasolini, Malcom X. E nel crogiuolo rivoluzionario del 1968, la loro voglia di capovolgere il mondo si esprime nell’eclatante occupazione.
L’azione di questo 14 settembre ha obbiettivi suoi propri, alcuni molto precisi, concreti, immediati, che non hanno a che fare con le più generali rivendicazioni del ’68. In comune con altre proteste è più che altro la pretesa di protagonismo della generazione entrante.
I motivi dell’occupazione sono spiegati in una serie di documenti stampati prime e dopo la dimostrazione in cattedrale. I giovani “si oppongono al fatto che la chiesa di S. Evasio sia costruita con il contributo economico della Cassa di Risparmio: si richiede che la gerarchia ecclesiastica faccia una scelta discriminante a favore dei poveri contro il sistema capitalistico. Non si accetta la rimozione o promozione di un sacerdote senza che i fedeli siano interpellati [don Setti era stato da poco esiliato in Appennino dal vescovo Evasio Colli]. Si denuncia il divario economico fra i sacerdoti della diocesi. Si depreca lo spreco di denaro per sostenere il settimanale cattolico diocesano Vita nuova, sottoprodotto della stampa clerico borghese. Si chiede la riforma dei seminari affinché non escano preti culturalmente plagiati. Si constata che queste situazioni sono la logica conseguenza della chiesa intesa come autoritarismo e come supporto del potere costituito”.
Queste cose non le dicono solo I protagonisti. Solo che loro le associano ad un gesto vistoso e ribelle che non può che portare alla rottura. Perfino papa Paolo VI quattro giorni dopo condanna l’episodio: “Che cosa diremo di certi episodi di occupazione di Chiese Cattedrali? Dov’è la coerenza e la dignità proprie di veri cristiani? Dov’è l’amore alla Chiesa?”, e parla di “miopia spirituale, che ferma lo sguardo all’aspetto umano, storico, visibile della Chiesa, e non vede il mistero di presenza di Cristo”.
A Parma arrivano giornalisti da ogni dove, fin dalla Francia. I protagonisti continuano a incontrarsi per alcune settimane, poi litigano e si sciolgono. Nella Chiesa locale molti si dicono disponibili a ragionare sui singoli punti contestati. Ma il modo in cui sono stati espressi non lo accetta nessuno. A Parma non capiterà più che una chiesa venga occupata.