
14.8.1568. La corte delle poetesse
14 agosto 1568 – Isabella Pallavicino sposa il marchese di Soragna Giampaolo Meli Lupi, che ben presto le affida il castello per andare a combattere per la Spagna come capitano di cavalleria nelle Fiandre. Manca giusto una settimana al terzo anniversario delle nozze, che Giampaolo la lascia vedova.
La libertà non spaventa Isabella, che fa di Soragna una corte di cultura frequentata dai maggiori letterati del Cinquecento. Lei è la musa e la mecenate di poeti e poetesse. Una capacità di autonomia e di iniziativa che a distanza di secoli ha fatto della Pallavicino un modello femminista.
Isabella è fra i fondatori e sostenitori dell’Accademia degli Innominati, di cui fanno parte anche diverse donne, come Tarquinia Molza, Claudia Noceti e Barbara Torelli Benedetti.
La bellezza di Isabella ispira versi e dediche. Ma lei fa anche di più, pagando di tasca sua la stampa di non poche opere. Pur di finanziare le lettere, Isabella si indebita impegnando gioielli e abiti. Come mecenate, il suo miglior risultato è l’editio princeps della Gerusalemme Liberata, pubblicata dopo la revisione dell’autore nel febbraio 1581 prima a Parma (1.300 copie) e poi a Cortemaggiore.
In risposta al tanto aiuto profuso, gli artisti dedicano un gran numero di commedie, tragedie e poemi alla signora di Soragna e le scrivono versi appassionati. Dei tanti, possono essere ricordate due poesie.
La prima è un sonetto di Torquato Tasso, da citare per l’autorevolezza dell’autore, scritto proprio sul finire del 1581, dove Isabella è chiamata Calisa, una delle ninfe Nisiadi, che allattarono Dioniso, divinità del Teatro:
Calisa, chiome d oro a l’aure estive
ninfa non spiega de le tue piú belle,
né preme l’erbe con piante piú snelle,
né lava man piú bianche in fonti vive;
né piú bel nome in tronchi oggi si scrive,
né canta in rime antiche od in novelle,
e mi perdonin le selvagge e quelle
ch’albergano ne’ monti altere e schive.
Né altra merta piú che per te suone
la sampogna onde Titiro solea
l’umil pensar ma pur mirabil canto.
Fortunato il pastor che osò poi tanto
che la prese di là d’onde pendea,
e degno che di lauro si corone!
Un altro componimento dedicato ad Isabella fa parte della “favola boscareccia” Flori del 1588, della poetessa Maddalena Campiglia, da riportare perché questa, che aveva abbandonato il marito per vantare la superiorità della castità e cantare l’amore fra le donne, era davvero innamorata di Isabella (ma pare non corrisposta):
II Rè de l’universo
Scelse, tra mille una sovrana, e chiara
Alma, e qui la ripose, ove di rara
Beltà l’essempio scorto, huom fia converso
E con la mente al cielo e con l’affetto
Le grazie hà seco tutte, e come obbietto
Lucido i cori alluma, e l’Trebbia impara
A risuonar con la pura onda alterna,
Pallavicina nostra gloria eterna.
Attenzione alle prime lettere di ogni verso: è l’acrostico del nome di una grande amante delle arti della Bassa parmense.

olio su tela di Alessandro Maganza, Musei Civici di Vicenza, fine XVI secolo.

