Economia,  Epoca Moderna

13.8.1723. La guerra delle farmacie

13 agosto 1723 – Il Collegio degli aromatari di Parma scrive al vescovo Camillo Marazzani pretendendo la chiusura di tutte le farmacie attive nei monasteri cittadini.

Gli aromatari sono i farmacisti, quelli privati, ai quali non piace la concorrenza dei monaci, sottoposti a meno regole e a meno tasse. E per loro c’è un’occasione unica per liberarsi di questi antichi rivali in affari: qualche mese prima, nel 1722, papa Innocenzo XIII ha vietato ai conventi degli Stati pontifici di vendere medicinali a laici. Dopo richieste insistenti, gli aromatari hanno ottenuto un provvedimento per estendere il divieto anche al Ducato di Parma e ora pretendono che il vescovo lo faccia rispettare.

Le farmacie sotto attacco sono quella del monastero di San Giovanni, quella dei gesuiti in San Rocco, quella delle monache di Sant’Uldarico, quella delle Teatine che stanno in Santa Cristina, quella delle Domenicane e quella delle monache di Sant’Elisabetta e Santa Basilide.

I benedettini di San Giovanni hanno provato a difendersi. Hanno dichiarato di lavorare quasi esclusivamente ad uso interno (è falso). Hanno perfino spedito a Roma la dichiarazione giurata di quattro medici – fra i quali Giulio Cesare Volpi, decano del Collegio dei Medici e medico di corte – che attestano l’ottima qualità dei loro prodotti (è verissimo). Ma non c’è nulla da fare, il Collegio degli aromatari è deciso ad estendere il proprio controllo su tutto il settore.

In San Giovanni, però, hanno un’altra carta da giocare. In questo stesso 13 agosto, mentre il Collegio consegna la sua missiva a monsignor Marazzani, i benedettini firmano un contratto con due loro dipendenti, affidandogli la gestione della farmacia. È un passaggio fittizio, ma sufficiente a mantenere attiva l’attività.

I primi gestori laici della laboratorio galenico, dopo 500 se non forse dopo 700 anni di attività dei monaci, sono gli speziali Antonio Colla e Giacomo Toschi, che in realtà qui lavorano già dal 1708, stipendiati dal monastero.

Gli aromatari fiutano subito il trucco e protestano. Stavolta si rivolgono al duca Francesco Farnese, che nel febbraio 1724 ordina di trasferire la farmacia in una sede staccata dal convento e impone dazi più alti. San Giovanni non può che accettare. I monaci acquistano alcuni locali in borgo Riolo (Cairoli) e aggiungono alla società di Colla e Toschi anche uno speziale iscritto al Collegio, l’aromatario Carlo Dodi, che fa solo da prestanome, perché a produrre balsami, sciroppi, pasticche e impiastri continuano a farlo i soliti dipendenti del convento, solo apparentemente diventati autonomi.

Ma se gli aromatari hanno le loro buone conoscenze nei palazzi del potere, pure ai monaci gli amici influenti non mancano. Così, pochi anni dopo, San Giovanni ottiene di poter rimettere le cose come erano prima. Il 17 luglio 1727, il nuovo duca Antonio accoglie le suppliche dei benedettini per riportare la spezieria nella sua antica sede di borgo Pipa. Pure da Roma arriva un formale permesso di papa Benedetto XIII perché il monastero possa avere una spezieria. Toschi, Colla e Dodi restituiscono immediatamente la proprietà dell’attività all’abate e tornano dipendenti del monastero.

Una vicenda del tutto analoga si ripeterà nel 1766, quando il governo Du Tillot di nuovo imporrà la privatizzazione dell’antica spezieria di San Giovanni. Allora, di nuovo, i monaci la affideranno ad uno speziale – Luigi Gardoni – che in realtà continuerà ad essere stipendiato dai monaci per molti anni ancora. Tuttavia, col tempo l’esternalizzazione inizia a piacere a tutti e la famiglia Gardoni diventerà realmente proprietaria di questa spezieria, portandola avanti anche quando i benedettini vengono allontanati da Parma prima da Napoleone e poi dal duca Carlo III, preservandone così ambienti ed arredi, che oggi sono un museo, purtroppo da parecchi anni chiuso al pubblico.

L'antica spezieria di San Giovanni di Parma
L’antica spezieria di San Giovanni di Parma

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