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12.6.1904. L’ippodromo di San Lazzaro

12 giugno 1904 – Un forte temporale rovina le prime gare ippiche a Parma. La società Pro Patria ha costruito un ippodromo temporaneo e l’evento dovrebbe servire a lanciare la città ducale nel mondo delle corse dei cavalli, che al principio del XX secolo sono come il MotoGp o la Formula Uno oggi.

Invece è un flop, un segno che preannuncia il sempre difficile rapporto fra Parma e l’ippica.

La pista al Campo di Marte

La pista è nella piazza d’armi del Campo di Marte (dove poi sorgerà il Seminario minore) e misura mezzo miglio inglese, cioè 804,5 metri. Intorno ha numerose tribune per i tanti appassionati. La sua realizzazione è stata fortemente voluta dal presidente della Pro Patria Pietro Bocchi e progettata dall’ingegner Riccardo Pastorini.

Le prime gare, tutte al trotto, si sono corse già il giorno precedente, con scarso pubblico e la diserzione di molti cavalli iscritti. E in questa domenica, quando finalmente gli spettatori sono arrivati, è il maltempo a guastare la festa.

Con la pioggia, tutte le signore che stanno nelle tribune scoperte si rifugiano in quella riservata, l’unica con un telone di copertura, mentre i più svelti corrono via, nella calca, chi a piedi e chi in carrozza. Le gare proseguono, finché l’acquazzone si fa così intenso che pure i fantini scappano. La pista è tutta allagata, uno stagno alto al ginocchio, tanto che per far uscire le ultime persone serve un improvvisato ponticello.

La giuria insiste per concludere il programma e a rovescio finito, l’ultima gara è corsa con i cavalli che devono fendere l’acqua.

Per la cronaca: i quattro gran premi di sabato, con montepremi complessivo di 3.750 lire, li hanno vinti i cavalli Elsa, Ida, Arlecchino e Baiardo. I quattro di questa domenica i cavalli Vandalo II, Abnet, Baiardo II e Brembo.

L’ippodromo a San Lazzaro

L’ippica è la grande passione degli anni Dieci. Un ippodromo c’è a Colorno, nel parco della Reggia, dove corrono anche le biciclette, ed un altro a Collecchio, costruiti entrambi nel 1903.

Parma, invece, ha solo questa pista soggetta ad allagamenti. Troppo poco per far concorrenza ai grandi ippodromi di Milano, di Verona, di Modena e di molte altre città.

Così, sempre per iniziativa del cavalier Bocchi, dal 1906 partono trattative per erigere anche a Parma un ippodromo vero e stabile. L’area scelta è un terreno di trenta biolche fuori barriera Vittorio Emanuele, vicino all’arco di San Lazzaro, corrispondente all’attuale parco Martini e alle case immediatamente a nord fino a via Parigi.

Il comitato promotore del progetto si riunisce per la prima volta la sera del 19 maggio; ne fanno parte Giovanni Sanvitale, Luigi Lusignani, Giuseppe Folli, Francesco Restori, Guido Tedeschi, Giacomo Fonio e Riccardo Pastorini. Il 10 novembre 1906 è formalmente istituita la Società anonima dell’Ippodromo Parmense. Il 21 settembre 1907 c’è l’inaugurazione della struttura e il 26 e 27 (in concomitanza con la presentazione del monumento a Bottego) le prime corse, ripetendo suppergiù il programma di gare già seguito nel 1904 per presentare la pista provvisoria.

L’impianto ha una scuderia di 12 box, otto dei quali vengono affittati da Egidio Tamberi, che trasferisce dalla Toscana a Parma la sua scuderia con i campioni Giolitti, Nelly Gay, Belle Kuser, Oak Blosson. Il Tamberi è uno dei sette allevamenti più blasonati d’Italia e per un po’ sarà chiamato Scuderia Parmense.

La crisi e l’abbandono

Tutti sono contenti, applaudono e vedono nell’ippodromo un motore di richiamo e sviluppo economico. Ma dietro all’apparente successo, c’è il problema dei soldi.

La Società dell’ippodromo ha un capitale diffuso: ogni azione costa 100 lire. Il contributo maggiore lo offre la Cassa di Risparmio con 20.000 lire. Si accumulano così 145.000 lire, ma costruire l’impianto costa 40.000 lire in più e poi occorre gestirlo. Ripetuti appelli per nuove sottoscrizioni vanno a vuoto e anche i vecchi soci non si fanno più sentire. Azionisti e amministratori si scambiano accuse.

Per farla breve: il 4 settembre 1909, la società è già dichiarata fallita. Una doccia fredda, più fredda dell’acqua caduta in quella domenica del 1904. E a dirla tutta, i lavori edili non erano neppure terminati del tutto.

La proprietà passa allora al Comune, che convince gli azionisti a rinunciare alla loro quote e poi mette all’asta i terreni. Li acquista un comitato nato per salvare la struttura, partecipato da alcuni abbienti cittadini. Il comitato dona all’ippodromo ancora alcuni anni di vita. Quello spazio nato solo per l’ippica, da qui in poi dovrà però ospitare anche – se non soprattutto – gare ed allenamenti di ciclismo, motociclismo, corse a piedi e tiro al piccione; pure il Parma calcio muove qui i suoi primi passi.

La passione per i cavalli va a scemare negli anni Venti per “il tanto dilagare di benzina” e gli “sports moderni a base di motori di palloni di pedali” (come scrisse allora la Gazzetta di Parma), che rimpiazzano l’ippica nel cuore degli sportivi.

L’ippodromo resiste fino agli anni ‘40, usato anche per l’atletica, le corse in bici e in moto. Qui corre anche Costante Girardengo, il Campionissimo. Ma poi – in ossequio all’economia di guerra – la terra torna ad essere arata e coltivata. Poi l’area viene scelta come parcheggio per i carri armati tedeschi. Devastato e abbandonato, le ultime tracce della pista per i cavalli saranno cancellate da una nuova urbanizzazione negli anni Settanta.

L’ippodromo ben visibile in una mappa di inizio Novecento

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