12.5.1967. Il ponte romano rivede la luce
12 maggio 1967 – Apre al traffico via Mazzini, dopo imponenti lavori di demolizione ed ampliamento previsti fin dal 1938 e sui quali la città ha discusso per anni, con aspri dibattiti iniziati dai primi ‘50. La strada prende il posto delle antiche e strette strade San Quintino e San Cristoforo, che nel 1882 hanno cambiato nome in strada Mazzini e strada Lamarmora.
È nel corso di questi lavori che viene riscoperto il ponte romano. Il ritrovamento viene annunciato il 24 febbraio 1966: due giorni dopo è già pronto e approvato un progetto per lasciarne visibile una parte nel sottopassaggio pedonale che era stato da tempo previsto.
In realtà, l’esistenza del Pons Lapidis è già nota almeno dal 1858, ma solo fra pochi addetti ai lavori: ora, invece, chiunque potrà scendere pochi gradini e rivedere sottoterra quel manufatto che risale alla Parma antica.
Il sottopassaggio è inaugurato il 6 luglio 1968, ma gran parte dell’antica struttura è lasciata interrata. Il ponte romano di Parma conta infatti undici arcate in pietra e calcestruzzo, estendendosi per oltre cento metri. I lavori degli anni Sessanta lasciano scoperte solo due delle arcate, quelle più vicine al torrente. L’andamento delle altre è facilmente intuibile osservando la pendenza del primo tratto di via Mazzini.
Un ponte in questo punto deve esserci stato fin da prima della fondazione della città nel 187 a.C., ma probabilmente era di legno. È al tempo dell’imperatore Augusto, all’inizio del I secolo, che viene costruito un ponte di pietra, che venne a lungo chiamato proprio Pons lapidis, che è facile immaginare aver necessitato di vari interventi di ristrutturazione nel corso dei secoli. Secondo la tradizione, l’ultimo ad aver ricostruito il ponte di pietra di Parma è stato Teodorico nel 493, nato ostrogoto e divenuto imperatore romano di fatto.
Nel corso del Medioevo, le arcate del ponte si è sono progressivamente ostruite, finché la grande piena del 1177 non ne ha completamente otturato le luci e il corso del torrente si è spostato più a ovest di qualche decina di metri, rendendo del tutto inutile il ponte, che è stato così inglobato nella tessuto urbano e di certo in parte riutilizzato con funzioni diverse da quella per cui è nato. Ben prima dell’apertura del sottopasso con il ponte reso monumento, ad esempio, l’osteria la Grotta Azzurra utilizzava una delle arcate interrate come sala ipogea dove servire vino ai propri clienti, con il soffitto – costruito da Teodorico – barbaramente tinteggiato del colore del mare.