
12.4.1249. Buralli e Della Pergola, gli ecumenisti del Medioevo
12 aprile 1249 – Il parmigiano Giovanni Buralli, ministro generale dei Francescani, parte per una missione impossibile: riunire i cristiani cattolici con i cristiani ortodossi.
All’inizio di questo 1249, papa Innocenzo IV lo ha convocato a Lione e da lì lo invia a Nicea, dove è la corte di quel che resta dell’Impero romano d’oriente, con a capo l’imperatore Giovanni III Ducas Vatatze, detto il Misericordioso. Lo ha scelto perché Buralli è un grande teologo, un grande conciliatore ed è avvezzo ai lunghi viaggi. Nella cronaca, il concittadino Salimbene lo descrive così: “vultum habebat angelicum et gratiosum et semper iocundum”, “largus, liberalis, curialis, caritativus, humilis, mansuetus, benignus et patiens”.
Il capo dei francescani parte da Lione appena finita la Pasqua. In oriente, viene accolto con rispetto ed il patriarca Manuele II organizza con lui il sinodo di Ninfea. Insieme parlano della processione dello Spirito Santo, della liturgia eucaristica e del fatto che l’ostia debba essere necessariamente pane azzimo o meno.
Purtroppo, tra i Francescani vecchie liti tornano a galla e Giovanni Buralli deve dimettersi dalla sua carica per ritirarsi in un convento a Greccio, dove resta 30 anni, interrompendo la sua opera ecumenica. Ma non dimentica la missione ricevuta dal papa, così, da anziano, chiede di poter ripartire per l’oriente. Non fa in tempo, perché sorella morte lo coglie il 19 marzo 1289.
Per un attimo, l’obiettivo di riportare la cristianità all’unità dopo lo Scisma d’oriente del 1054 pare a portata di mano. Grazie al ponte costruito da Buralli, alcuni anni dopo, nel 1274, al Concilio di Lione, viene proclamata l’unità delle Chiese, con giuramenti dei prelati latini e greci. Dura però poco, perché le formule utilizzate non tengono conto a sufficienza delle tradizioni orientali, così non sono accettate dalla popolazione e dalla base del clero e una generazione dopo vengono rigettate.
L’unità dei cristiani è l’obiettivo del movimento ecumenico, che viene solitamente visto come tensione nata nel XX secolo. Invece, di ecumenisti ce ne sono sempre stati. La storia di Giovanni Buralli ne è un esempio. Parma ne può offrire anche un secondo.
Anche Delfino della Pergola, vescovo di Parma dal 1425 al 1463, operò per la stessa missione impossibile di riunire i cristiani. Il Concilio di Basilea del 1434 lo sceglie infatti per convincere i vescovi d’oriente a partecipare ai lavori dello stesso incontro e confrontarsi sulla riunificazione, nonché trattare con i maggiori principi europei così da creare le migliori condizioni per il riavvicinamento delle due Chiese.
Il vescovo va dunque a Costantinopoli nella primavera del 1436 e di nuovo nel 1438, con ottimi risultati, perché effettivamente al concilio, che si sposta prima a Ferrara e poi a Firenze, arrivano 700 prelati greci, guidati dall’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo e dal patriarca di Costantinopoli Giuseppe II.
Quello di Firenze, grazie anche al contributo di Delfino della Pergola, è un vero concilio, che senza commettere gli errori di Lione, porta ortodossi e cattolici su posizioni comuni. Purtroppo, la ritrovata unità sul piano teorico non si tradurrà mai in unità reale, di nuovo per le resistenze popolari: l’affermazione dell’Islam in Anatolia non darà il tempo per diffondere la buona novella.


litografia di Giuseppe Bacchini (Parma, 1825-1870), raccolta Angelo Davoli, collezionidigitali.comune.re.it

