11.5.1860. Venti camicie rosse parmigiane
11 maggio 1860 – I piroscafi Piemonte e Lombardo attraccano a Marsala sbarcando in terra di Sicilia 1.089 uomini, venuti per scacciare i Borbone. Fra di loro ci sono anche 20 parmensi, tutti al comando di Giuseppe Garibaldi.
I parmigiani si chiamano Luigi Bacchi, bracciante di 16 anni, Dario Bodini 24enne, Lorenzo Cantoni, bracciante trentenne, Guglielmo Franzoni, bracciante diciottenne, Luigi Magni, sellaio ventenne, Angelo Mattioli, bracciante di 23 anni, Ermenegildo Nardi, falegname di 35 anni, Ferdinando Scaccaglia di Beneceto, muratore di 36 anni, Pietro Tagliavini, bracciante di 27 anni, Oreste Terzi, libraio diciassettenne, e Gaetano Tommasini di Vigatto, bracciante che ha compiuto 18 anni da poche settimane.
Poi, dalla provincia, sono venuti Eligio Bozzani di Fontanellato, possidente di 21 anni, Angelo Maria Cantoni di Mezzano Rondani, imbianchino di 30 anni, Francesco Cortesi di Sala Baganza, contadino di 27 anni, Cesare Gastaldi di Neviano degli Arduini, bracciante di 22 anni, Eugenio Pescina, impiegato fidentino diciassettenne, Faustino Tanara di Langhirano, ufficiale 27enne.
Parmigiani di adozione sono il modenese Fedele Boni, bracciante 27enne, Eugenio Ravà che da Reggio Emilia si è trasferito a Parma: con i suoi 20 anni appena compiuti, può già vantarsi di essere un veterano delle battaglie risorgimentali; e Giuseppe Muro, militare di carriera nato a Milano 29 anni prima, ma residente a Colorno.
Garibaldi li ha vestiti con una camicia rossa, per nascondere le macchie di sangue che i combattimenti che li attendono potranno lasciare addosso. Ma tutti e venti torneranno salvi dalla vittoriosa Spedizione dei Mille in Sicilia.
Due di loro hanno incarichi di comando. Tanara viene scelto come uno dei sei vicomandanti della quinta compagnia dei Mille e Ravà dirige una compagnia del reparto Guide in cui milita anche Menotti Garibaldi.
Ma qualche giorno prima, il 5 maggio, quando i due piroscafi erano salpati da Quarto in Liguria, i parmensi a bordo erano anche di più, solo che alcuni hanno voluto o dovuto abbandonare la compagnia a metà strada. A Talamone, in Toscana, Garibaldi fa una sosta per procurarsi armi, viveri e organizzare i soldati. Qui rimanda a casa quelli che paiono fisicamente inadatti all’impresa, e qualcun altro se ne va di sua iniziativa, in polemica con l’Eroe dei due mondi che ha dichiarato di combattere per il re Vittorio Emanuele: per i repubblicani radicali, a questa condizione non ci stanno.
I parmensi che restano a Talamone sono ben 24: Ermenegildo Arduini di Copermio, Giovanni Balloni, il dottor Raffaele Bandini, Ciro Bianchi, Dalmazio Calderini, rimasto a terra perché ferito, Carlo Canali, Giovanni Cocconi, il dottor Camillo Fochi, Lanfranco Furia, Medardo Galvani, Giuseppe Gandini, Antonio Ghia, Francesco Lodigiani, Ignazio Marchi, Giuseppe Montani, Angelo Pagani, Francesco Poli, Daniele Raboni, anche lui scartato poiché ferito, Giovanni Righi, Lorenzo Rossi, Petronio Sandri di Madregolo, il dottor Giuseppe Soncini di Sant’Ilario d’Enza ma abitante a Felino, Enrico Ughi e Angelo Zinelli.