11.11.1501. Francesco Marmitta, il maestro della miniatura
11 novembre 1501 – Un ragazzo di nome Addonardo Ferri inizia il suo apprendistato presso la bottega del più quotato (e poi purtroppo più dimenticato) artista di Parma del tempo, il grande Francesco Marmitta. È fortunato, perché in questo momento in città nessuno come lui è capace nell’arte del disegnare e del dipingere, ma anche nel preparare i colori e nella conoscenza delle pietre che stanno alla base di molti pigmenti. L’apprendistato durerà quattro mesi.
Francesco Marmitta è un miniaturista. Le miniature richiamano alla memoria gli scriptoria dei monasteri. Invece il nostro lavora nel laboratorio privato che ha allestito presso casa sua, nella vicinia di San Paolo dalla parte del borgo della Piazzola (il tratto centrale di via Garibaldi), come libero professionista.
Da giovane, si è formato a Ferrara per poi girare il mondo assieme al fratello Niccolò, facendosi un nome e tornando a Parma ricco nel 1496, quando ha circa 30 anni. Ora prosegue il lavoro qui, nella sua patria, per committenti da tutta Italia. In questo 1501 ha giusto finito di miniare un messale ordinato dal cardinale Domenico della Rovere per la cattedrale di Torino, che gli è costato oltre tre anni di lavoro.
Oltre che decorare preziosissimi manoscritti, Marmitta intaglia pietre preziose e dipinge quadri: lo scrittore Francesco Grapaldo, suo coetaneo, ha scritto che “non conveniva in una cappella domestica una sacra pittura se non era di mano del Temperello, o almeno del nostro Francesco Marmitta” (Temperello è il pittore Cristoforo Caselli).
Della vasta opera di Marmitta restano poche opere, anche perché – per quanto rinomato ai suoi tempi –, dopo la morte di peste nel 1505 è stato pian piano dimenticato e i suoi lavori dispersi, per molti senza più possibilità di attribuzione. Mentre altre forme d’arte sono state celebrate in cento modi, la miniatura è rimasta espressione di nicchia.
Il messale di Torino è uno dei capolavori di Marmitta. Un altro è una copia delle Rime e dei Trionfi di Petrarca che ha illustrato nel 1483 per l’umanista Giacomo Giglio. E poi c’è il cosiddetto Offiziolo Durazzo, un libro per la preghiera delle ore di formato tascabile composto su pergamena purpurea con lettere in oro, forse l’ultima fatica di Marmitta. Alla National Gallery di Londra è esposto un dipinto del Parmigianino che ritrae un uomo con in mano un volumetto identico all’Offiziolo di Marmitta.
Il Rinascimento non è solo architettura, affreschi e grandi quadri, ma anche preziose miniature dai colori vividi e dalle figure fantasiose, dove si ritrovano le novità iconografiche dell’epoca ed i riferimenti all’antichità classica. Pochi hanno saputo esprimere la vitalità rinascimentale attraverso la miniatura quanto Francesco Marmitta.