10.5.1538. Tre teste tagliate per il capitano del papa
10 maggio 1538 – Tre esecuzioni capitali vengono eseguite a Parma il 10 maggio 1538. Il boia taglia la testa a tali Rosino, Fantesela e Fiorentino. Di cosa sono colpevoli? Di aver guastato la visita a Parma di papa Paolo III.
Il papa è arrivato in città il 13 aprile con un corteo fastoso. Il coevo cronista Tiberio Tagliaferro descrive l’ingresso del Farnese: “Entrò in Parma a hore 22, con cardinali 12, episcopi 24, con mulli 140 carchi, la chieresia, i frati di s. Giacomo e altri, i puti con 400 bandirole, giovani 60 vestiti di cendalo bianco, balduchino d’oro, gli Ancian con torchii acesi in mano”.
Parma accoglie il pontefice dando il massimo. La facciata della cattedrale è decorata con stoffe e stemmi (“il domo ornato con panno et arme”). Il municipio dona al pontefice le chiavi delle mura, “due chiave, una d’oro, una d’argento”, consegnate in un contenitore pure d’argento costato 300 scudi. Offre a Paolo III un banchetto servito a lume di candela, a base di pesce, formaggio Parmigiano, salumi e dieci vitelli.
Il papa è diretto a Nizza, dove incontrerà Francesco re di Francia e Carlo imperatore. Si ferma volentieri a Parma, dove è stato vescovo. Ma la festa è guastata da un omicidio.
Un’altra cronaca del tempo afferma che “sabbato sera fu morto il banderalo del ss. Papa Paolo dalli donzelli li quali erano andati incontro al ss. Papa insino alla chiesa delli frati della Nonciata”, cioè che alcuni giovani hanno ucciso il capitano della guardia del pontefice, che si chiama Prementino.
L’assassinio è avvenuto “sul ponte Stretto”, dopo un litigio “sul piazzale della chiesa Maggiore”, ovvero piazza Duomo. “Nel dismontare del cavallo che fece il papa, volevano torre la chinea et detto banderolo non la volse lasciar torre ed ebbero molte parole ingiuriose”. La chinea è la cavalla o mula bianca simbolo dei papi: alcuni ragazzi litigano per avere l’onore di accudirla, ma il capitano li allontana; loro ne hanno a male e gli tendono un’imboscata sul ponte. Prementino è ferito gravemente e muore nel corso della notte.
Paolo III viene informato dell’accaduto il giorno seguente. Subito ordina di preparare i bagagli, il più presto possibile. Se ne va la mattina successiva, ancora “molto incollerato”. Collera che col passare dei giorni non diminuisce, ma al contrario cresce, perché l’omicidio diventa presto il gossip del momento e non mancano cronisti che raccontano il fattaccio ingigantendolo ogni volta, con fantasiose fughe della corte pontificia dentro il duomo, tafferugli, lotte fra fazioni.
La cosa non può passare impunita. Paolo III incarica dunque un commissario, Tarugio dei Tarugi di Montepulciano, di tornare a Parma per indagare, individuare i responsabili di questi antipatici episodi e punirli. Tarugio arriva in città il 29 aprile e in poco chiude l’inchiesta.
Individua una serie di persone coinvolte. I tre decapitati in questo 10 maggio sono i colpevoli chiesti dal papa.
A dirla tutta, pare che non siano stati davvero Rosino, Fantesela e Fiorentino a uccidere “il banderolo” di Paolo III. Loro sono in qualche misura complici, ma i veri assassini si sono già dati alla macchia. Non importa, l’essenziale è portare qualcuno al patibolo per chiudere lo scandalo. Tarugio lo sa e conosce anche l’identità dei veri rei: a loro fa demolire la casa e li bandisce dalla città. Torneranno solo quando Parma sarà diventata un Ducato, con a capo proprio il figlio di Paolo III.