10.11.1898. Il parmigiano che ammazzò l’imperatrice Sissi
10 novembre 1898 – Si apre il processo a Luigi Luccheni, il parmigiano che ha ucciso l’imperatrice Sissi.
Pochi giorni prima, il 10 settembre, in riva al lago di Ginevra, ha pugnalato a morte Elisabetta di Baviera, moglie di Francesco Giuseppe d’Austria, che tutti ricordano come Sissi, resa immortale dall’attrice Romy Schneider, che ne recita la vita in tre film degli anni ‘50.
Per ucciderla, Luccheni ha usato una lima affilata dall’arrotino, tenuta nascosta in un mazzo di fiori. Un colpo solo, al cuore. Sissi subito non se ne rende neppure conto: cade, si rialza, cammina fino al traghetto su cui sta salendo, sviene, non si risveglia più.
Il parmigiano spiega di non avercela con lei in particolare, ma con le ingiustizie della società. Sissi e i suoi privilegi ne sono un simbolo. Avrebbe voluto assassinare il re d’Italia Umberto I di Savoia, ma a Roma non conosce nessuno che possa aiutarlo. In Svizzera, raggiunta da Parma in maggio prima, può invece contare sull’appoggio di alcuni anarchici. Avrebbe voluto trafiggere Luigi Filippo Roberto d’Orléans, che pretende il trono di Francia, ma gli è sfuggito di poche ore. Così, scoperto per caso che a Ginevra è in vacanza l’imperatrice, per di più in incognito e quindi senza scorta, fa di lei l’obiettivo della sua vendetta contro la vita.
Sì, vendetta. Al processo, Luccheni dichiara di agire in nome degli ideali dell’anarchismo. Ma sotto sotto è solo arrabiato con un mondo che lo ha sempre rifiutato, a partire da sua madre.
Poco dopo la nascita, Luccheni è stato lasciato all’orfanotrofio di Parigi, città dove la madre si è recata apposta da Albareto, dove fa la serva, per partorire senza che nessuno lo sappia. A nove anni viene rimandato a Parma, per continuare a vivere nell’istituto per l’infanzia abbandonata. Un padre non c’è mai stato: è il padrone della mamma serva.
Lui stesso, durante gli interrogatori, spiega di aver desiderato di arruolarsi nella Legione straniera, dove stanno “quelli che nessuno vuole, quelli che vengono rifiutati da tutti“. E le memorie che scriverà in carcere avranno per titolo: Storia di un bambino abbandonato alla fine del 19° secolo. Quel bambino abbandonato ha trasformato il dolore e la solitudine in rabbia e l’ha scaricata contro l’anziana imperatrice, che per molti è una mamma di tutti. Alla sbarra in tribunale, ribadendo con orgoglio di aver fatto tutto da solo, si sente al centro dell’universo: ha quell’attenzione che nessuno prima gli aveva mai dato.
Il processo dura solo due giorni. Luigi Luccheni è condannato all’ergastolo. Sua madre, che nel frattempo si è rifatta una vita in America, a San Francisco, leggendo la notizia sui giornali afferma di non aver mai conosciuto quel Luccheni che viene dalla sua città.