10.10.1946. Lettere di prigionieri in Africa
10 ottobre 1946 – “Non avrei mai immaginato di trovarmi qui ancora dopo tanto che è finita la guerra! Ma cosa si pensa di noi? Non sanno che si è stanchi di soffrire e che siamo dopo tanti anni di prigionia bisognosi di cure e che il sangue è tanto impoverito per mancanza di quegli elementi che necessitano per l’esistenza?”.
Lo sfogo è del sergente maggiore Egidio Visioli di Sissa, che ad un anno e mezzo dalla fine della Seconda Guerra mondiale, è ancora prigioniero degli inglesi in un campo di detenzione in Kenya e il 10 ottobre 1946 scrive alla famiglia. Catturato il 28 maggio 1942 ad Addis Abeba, in Etiopia, potrà ritornare a Parma solo l’8 febbraio 1947.
All’entrata in guerra dell’Italia, l’Inghilterra occupa le colonie nel Corno d’Africa e cattura 75.000 soldati italiani ed arresta 25.000 civili. Il 70% di questi viene tenuto in Africa, chiuso in campi di detenzione; il rimpatrio verrà solo a molti mesi dalla resa. Fra loro ci sono anche diversi parmensi.
Una ricerca condotta da Mattia Tondelli dell’Istituto storico della resistenza di Parma, ha individuato ben 483 parmensi catturati in Africa orientale (su 1.181 parmensi prigionieri di guerra), poi tenuti in maggioranza in Kenya, Sudan, Egitto ed Uganda. Qualcuno viene portato anche più lontano: 39 parmensi sono tradotti in India e in 19 fino in Australia. Spesso, nei campi veniva chiesto di lavorare per una piccola paga e la gran parte degli uomini accettava di buon rado.
È sempre Tondelli ad aver rintracciato alcune lettere di quei soldati rimasti a lungo in mano inglese. Molte di queste, soprattutto dei detenuti imbarcati per ultimi per l’Europa, si ripetono le proteste per il protrarsi della detenzione. Ad esempio, il parmigiano Sergio Fava, dopo quattro anni e mezzo di prigionia anche lui a Nairobi, si chiede:
“Sembra che di quei poveri evacuati nel Kenya tutti si siano dimenticati. Perché? Sembra umanamente impossibile che a quest’ora non si parli neppure di rimpatrio e che il nostro destino sia quello di cooperare!! Per anni ancora. Qui si dice che il governo italiano non desidera il nostro ritorno, siamo forse considerati elementi pericolosi o criminali?”.
Il parmigiano Italo Frambati, prima di essere chiamato alle armi faceva il fornaio. Preso a Tobruch, in Libia, nel 1941, viene portato in Sud Africa dove resta fino all’inizio del 1947. Scrive:
“Vi sono diversi momenti in cui questa mia rassegnazione è superata dallo sconforto della disperazione. Non potrebbe essere altrimenti dato la lunga monotonia del reticolato, e per di più, ad aggravare questa nostra terribile situazione è sopravvenuto quel terrificante spettro della fame”.
Ma non tutte le storie sono tristi. Mario Caggiati, detenuto negli Stati Uniti, nel Nebraska, ha trovato l’amore di una ragazza, tale Frances, si impegna a studiare l’inglese e progetta di sposarla e venire a vivere laggiù. Anche Mario Rosa si è affezionato al luogo in cui è stato portato, l’Australia, vicino a Melbourne, e vorrebbe poter rimanere perché le possibilità di lavoro gli paiono maggiori che non nell’Italia del dopoguerra.